“Non tutti sanno …”: che cosa ha scritto il Cardinale Bassetti prima di esssere ricoverato

 

In questo periodo così difficile l’Eucaristia sia al centro di tutto. Perché solo l’Eucaristia è la strada per la salvezza del mondo e per la vita del mondo.

Dal letto di ospedale il presidente della Cei lancia un messaggio che non lascia via di scampo: “In questo periodo così difficile l’Eucaristia sia al centro di tutto. Perché solo l’Eucaristia è la strada per la salvezza del mondo e per la vita del mondo”. Parole che raccontano la personale vicenda di sofferenza e di grazia del cardinal Bassetti, gravemente colpito dal virus. Ma che, allo stesso tempo, segnano un vero cambio di passo della Chiesa per affrontare le dure prove di questo tempo, a partire dal Covid.
 
La lettera che segue (il grassetto è nostro) è quella scritta alla sua Diocesi dal Cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, poco prima di essere trasferito presso l’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, dove si trova ricoverato in terapia intensiva per aver contratto il Covid.
 
Nell’ultimo bollettino medico l’azienda ospedaliera di Perugia ha riferito che i parametri vitali sono stabili: “Il paziente è vigile e collaborante. Proseguono  ossigenoterapia e ventilazione non invasiva unite alle terapie mediche del caso”.
 
Intanto dal suo letto in terapia intensiva il cardinale Bassetti ha fatto arrivare una «richiesta», come la chiamano i suoi collaboratori diocesani che, seppur a distanza, gli sono sempre accanto. Poche parole uscite dalla struttura Covid dell’ospedale.
Al telefono che gli tenevano gli infermieri l’Arcivescovo ha chiesto di pregare il Signore per lui e per tutti i malati o per chi è nella prova invocando l’intercessione di tre testimoni del Vangelo che per il Cardinale sono “santi della porta accanto” perché legano il loro nome all’Umbria: il ragazzo beato Carlo Acutis, il medico “Buon Samaritano” Vittorio Trancanelli e il seminarista del sorriso Giampiero Morettini.
La “maratona orante” è già cominciata con una catena di messaggi sui social e via WhatsApp. Continuiamo a pregare per lui.

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Lettera ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi, alle consacrate, a tutti i fedeli in Cristo dell’Arcidiocesi di Perugia – Città della Pieve

Questa notte, in sogno, mi sono ritrovato nel tempo in cui, in seminario, avevo come padre spirituale don Divo Barsotti. Egli mi insegnava a rivolgermi all’Onnipotente con queste parole fin dal mattino: «O Dio, Tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco».

Da quando sono in isolamento per la positività al Covid-19, ho la possibilità di comunicarmi ogni giorno nella mia camera, avendo portato una piccola pisside vicino alla porta della stanza. Era necessaria questa esperienza di malattia per rendermi conto di quanto siano vere le parole dell’Apocalisse in cui Gesù dice all’angelo della Chiesa di Laodicèa: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20).

L’Eucarestia, soprattutto in questo periodo così difficile, non può essere lasciata ai margini delle nostre esistenze ma dev’essere rimessa, con ancora più forza, al centro della vita dei cristiani. L’Eucarestia non è soltanto il Sacramento in cui Cristo si riceve – l’anima è piena di grazia e a noi è dato il pegno della gloria futura – ma è l’anima del mondo ed è il fulcro in cui converge tutto l’universo. In definitiva, l’Eucarestia è pro mundi salute, ovvero per la salvezza del mondo, e pro mundi vita, per la vita del mondo (Gv 6, 51).

Nell’Eucarestia Gesù rinnova e riattualizza il suo sacrificio pasquale di morte e resurrezione, ma la Sua presenza non si limita a un piccolo pezzo di pane consacrato. Quel pane consacrato trascende dallo stesso altare, abbraccia tutto l’universo e stringe a sé tutti i problemi dell’umanità, perché il corpo di Gesù è strettamente unito al corpo mistico che è tutta la Chiesa. Non c’è situazione umana a cui non possa essere ricondotta l’Eucarestia.

Anche le vicende drammatiche che stiamo vivendo in questi giorni in Italia – come l’aumento della diffusione dell’epidemia, la grave crisi economica per molti lavoratori e per tante imprese, l’incertezza per i nostri giovani della scuola – non sono al di fuori della Santissima Eucarestia.

Mi ricordo che padre Turoldo ci insegnava queste cose con grande chiarezza. E più vado avanti negli anni, più cerco di sperimentarle e più le sento vere. Non c’è consolazione, non c’è conforto, non c’è assenza di lacrime che non abbia il suo riferimento a Gesù Eucarestia.

Questo è un piccolo messaggio che voglio indirizzare ai miei preti, ai consacrati, ai giovani, alle famiglie e ai bambini dell’arcidiocesi. Vorrei che in questo periodo di così grave sofferenza non sentissimo la croce come un peso insopportabile ma come una croce gloriosa. Perché la Sua dolce presenza e la Sua carezza nell’Eucarestia fanno sì che le braccia della croce diventino due ali, come diceva don Tonino Bello, che ci portano a Gesù.

Ritengo infatti, come scriveva Paolo, «che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi». Con «impazienza» noi aspettiamo di contemplare il volto di Dio poiché «nella speranza noi siamo stati salvati» (Rom 8, 18.24).

Pertanto, è assolutamente necessario sperare contro ogni speranza, «Spes contra spem». Perché, come ha scritto Charles Péguy, la Speranza è una bambina «irriducibile». Rispetto alla Fede che «è una sposa fedele» e alla Carità che «è una Madre», la Speranza sembra, in prima battuta, che non valga nulla. E invece è esattamente il contrario: sarà proprio la Speranza, scrive Péguy, «che è venuta al mondo il giorno di Natale» e che «portando le altre, traverserà i mondi».

Cardinale Gualtiero Bassetti